Fermi tutti...il multitasking fa male
di Andrea D'Ambrosio
Take it easy, verrebbe da dire, perché fare tante cose contemporaneamente non è detto che significhi anche farle bene. Sembra banale ma non lo è, come si deduce da un articolo del New York Times sull’essere multitasker. Rispondere al cellulare mentre si guida la macchina, dare un’occhiata alla chat, leggere un documento e intanto consultare anche la posta elettronica sono esempi di multitasking. Il termine arriva dall’informatica ed è ormai entrato nel linguaggio comune. Tutti sono più o meno vittime, i giovani pare di più, del rumore di sottofondo imposto dai diversi aggeggi elettronici che affollano la vita quotidiana. Il problema all’ordine del giorno, però, è se svolgere molteplici attività in contemporanea faccia bene al cervello o se alla lunga questa abitudine possa determinare una difficoltà di concentrazione sulle singole cose. Se il multitasking in ufficio sia davvero un fattore di maggiore produttività o invece un elemento di dispersione (e un costo economico). “Diverse ricerche”, scrive il Nyt, “indicano con evidenza i limiti del multitasking”. Il cervello umano è una potente centrale elettrica cognitiva grazie ai suoi neuroni e alle connessioni sinaptiche, sostiene un neurologo interpellato dal quotidiano americano, ma “uno dei suoi limiti più evidenti è l’incapacità di concentrarsi su due cose contemporaneamente”. In genere abbiamo l’impressione che il nostro cervello sia in grado di fare più cose di quanto realmente possa, spiega il ricercatore. Il Nyt cita poi i risultati di un’altra indagine: i maggiori utilizzatori di posta elettronica della società presa in esame dallo studio sarebbero anche i più produttivi. Si tratterebbe però di eccellenze, tanto che alcuni ricercatori hanno ipotizzato per l’economia americana una perdita, dovuta alle “interruzioni” da multitasking, di circa 650 miliardi di dollari all’anno. Cifra da leggere con grande prudenza, anche perché le “interruzioni” dipendono spesso da come si lavora . “Quello che per una persona rappresenta un’interruzione” scrive il Nyt “per un’altra è una forma di collaborazione”. D’altra parte la scienza non sempre offre risposte univoche. Il Washington Post qualche mese fa ha riportato i risultati di una ricerca dell’Università della California: è scientificamente provato che è meglio evitare di guardare la televisione o ascoltare la musica mentre si studia. Ottimo, avranno pensato i genitori a cui era esplicitamente rivolto l’articolo. Passa qualche mese e il settimanale Newsweek, sulla base di una ricerca della British Columbia, si lancia invece in un elogio del disordine. Il rumore pare faccia bene alla capacità di concentrazione degli studenti. Chi glielo dice adesso ai lettori genitori del Washington Post?
di Andrea D'Ambrosio
Take it easy, verrebbe da dire, perché fare tante cose contemporaneamente non è detto che significhi anche farle bene. Sembra banale ma non lo è, come si deduce da un articolo del New York Times sull’essere multitasker. Rispondere al cellulare mentre si guida la macchina, dare un’occhiata alla chat, leggere un documento e intanto consultare anche la posta elettronica sono esempi di multitasking. Il termine arriva dall’informatica ed è ormai entrato nel linguaggio comune. Tutti sono più o meno vittime, i giovani pare di più, del rumore di sottofondo imposto dai diversi aggeggi elettronici che affollano la vita quotidiana. Il problema all’ordine del giorno, però, è se svolgere molteplici attività in contemporanea faccia bene al cervello o se alla lunga questa abitudine possa determinare una difficoltà di concentrazione sulle singole cose. Se il multitasking in ufficio sia davvero un fattore di maggiore produttività o invece un elemento di dispersione (e un costo economico). “Diverse ricerche”, scrive il Nyt, “indicano con evidenza i limiti del multitasking”. Il cervello umano è una potente centrale elettrica cognitiva grazie ai suoi neuroni e alle connessioni sinaptiche, sostiene un neurologo interpellato dal quotidiano americano, ma “uno dei suoi limiti più evidenti è l’incapacità di concentrarsi su due cose contemporaneamente”. In genere abbiamo l’impressione che il nostro cervello sia in grado di fare più cose di quanto realmente possa, spiega il ricercatore. Il Nyt cita poi i risultati di un’altra indagine: i maggiori utilizzatori di posta elettronica della società presa in esame dallo studio sarebbero anche i più produttivi. Si tratterebbe però di eccellenze, tanto che alcuni ricercatori hanno ipotizzato per l’economia americana una perdita, dovuta alle “interruzioni” da multitasking, di circa 650 miliardi di dollari all’anno. Cifra da leggere con grande prudenza, anche perché le “interruzioni” dipendono spesso da come si lavora . “Quello che per una persona rappresenta un’interruzione” scrive il Nyt “per un’altra è una forma di collaborazione”. D’altra parte la scienza non sempre offre risposte univoche. Il Washington Post qualche mese fa ha riportato i risultati di una ricerca dell’Università della California: è scientificamente provato che è meglio evitare di guardare la televisione o ascoltare la musica mentre si studia. Ottimo, avranno pensato i genitori a cui era esplicitamente rivolto l’articolo. Passa qualche mese e il settimanale Newsweek, sulla base di una ricerca della British Columbia, si lancia invece in un elogio del disordine. Il rumore pare faccia bene alla capacità di concentrazione degli studenti. Chi glielo dice adesso ai lettori genitori del Washington Post?
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