Il sogno delle ciclabili tedesche
di Paolo Garimberti
di Paolo Garimberti
Alla recente Conferenza nazionale della bicicletta eravamo tutti sbalorditi mano a mano che Dagmar Meyer, del ministero federale per il Traffico e lo sviluppo urbano, procedeva nell'illustrazione del «Bicycle Master Plan» in Germania. Tutto quello che gli amanti della bicicletta sognano si stava materializzando nelle diapositive e nei grafici. E quando la signora aveva cominciato a parlare di insufficienze, a ripetere «di questo non siamo ancora soddisfatti», molti avevano sul volto risolini ironici.
Bene, mi è capitato di verificare di persona che cosa vuol dire «organizzazione tedesca per la bicicletta». Tre giorni a Berlino sono stati lunghi momenti di ammirazione, ma anche di profonda umiliazione e di qualche assalto di rabbia. Le ciclabili berlinesi sono sterminate, impeccabili e perfettamente segnalate con appositi cartelli stradali, bianchi con le scritte in verde che li rendono riconoscibili e facilmente leggibili. Le distanze dai punti topici della città sono indicate ogni 500 metri. Certo, il clima non aiuta. «Da noi il sole è uno special guest», mi ha detto un tassista.
Paradossalmente anche per questo la cura quasi ossessiva di ciclabili ora semideserte è un segnale di civiltà urbana (attenzione, nessuno corre sulle ciclabili, le piste per i runners sono a parte). Mentre da noi arrivano segnali contrari. Dopo il caso di San Donato, ho ricevuto documentazione anche fotografica di quanto sta accadendo a Monza, dove il Comune ha invertito la tendenza che in passato aveva portato lo sviluppo delle piste da 18 a oltre 30 chilometri. Ora, anziché costruire, si smantella, come è accaduto con la ciclabile di Via Cervino-Monte Bianco. Allora, sindaco Mariani, come si discolpa?
Bene, mi è capitato di verificare di persona che cosa vuol dire «organizzazione tedesca per la bicicletta». Tre giorni a Berlino sono stati lunghi momenti di ammirazione, ma anche di profonda umiliazione e di qualche assalto di rabbia. Le ciclabili berlinesi sono sterminate, impeccabili e perfettamente segnalate con appositi cartelli stradali, bianchi con le scritte in verde che li rendono riconoscibili e facilmente leggibili. Le distanze dai punti topici della città sono indicate ogni 500 metri. Certo, il clima non aiuta. «Da noi il sole è uno special guest», mi ha detto un tassista.
Paradossalmente anche per questo la cura quasi ossessiva di ciclabili ora semideserte è un segnale di civiltà urbana (attenzione, nessuno corre sulle ciclabili, le piste per i runners sono a parte). Mentre da noi arrivano segnali contrari. Dopo il caso di San Donato, ho ricevuto documentazione anche fotografica di quanto sta accadendo a Monza, dove il Comune ha invertito la tendenza che in passato aveva portato lo sviluppo delle piste da 18 a oltre 30 chilometri. Ora, anziché costruire, si smantella, come è accaduto con la ciclabile di Via Cervino-Monte Bianco. Allora, sindaco Mariani, come si discolpa?
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